Counseling Neuroevolutivo

Grazie alle innumerevoli fonti informative nate intorno alla sua definizione, il lettore saprà che il Counseling si presenta come un servizio sociale che si svolge nell’ambito di una relazione di aiuto; una relazione nella quale il Counselor offre attraverso l’ausilio di un ascolto attivo, di un modello comunicativo caratterizzato da una profonda empatia ed una competenza tecnica derivante dal proprio indirizzo formativo, un contributo concreto alla soluzione di un problema, di una difficoltà e/o di un disagio esistenziale – inteso come “lieve malessere” – momentaneamente vissuto da un Cliente. Contributo il cui scopo, non è quello di trovare la soluzione al Cliente bensì quello di fare in modo che lo stesso, attingendo alle proprie competenze interne e in accordo con il significato stesso della parola Counseling, riesca autonomamente a determinare la vera e personale soluzione al proprio problema.

E’ proprio in questa definizione che si inquadra anche l’azione operata dal Counseling Relazionale Neuroevolutivo che, nell’ambito della suddetta relazione, opera una valorizzazione degli elementi interiori del Cliente, peculiari della sua personalità, conseguenza della sua storia evolutiva e spesso, per tale ragione, complici della situazione alla base del suo disagio. Una relazione nella quale il Counselor accompagna il Cliente:

  • alla scoperta delle sue risorse;
  • alla valorizzazione delle stesse da una diversa prospettiva funzionale;
  • alla determinazione di una soluzione strategica in grado di trasformare il suo momentaneo di empasse esistenziale in una opportunità evolutiva.

Azioni al contempo capaci di trasformare l’approccio assunto dal Cliente anche nelle altre dimensioni da esso vissute.

Per raggiungere tale obiettivo il Counseling relazionale Neuroevolutivo muove la sua tecnica dall’assunto – coadiuvato e confortato dai concetti anche espressi dalle teorie evoluzionistiche e dai recenti studi nel campo della neuroscienza – secondo il quale, ciascuno individuo è quello che è in quanto sintesi di:

  • Programmazioni di matrice genetica, strutturatesi nel corso di milioni di anni in funzione dell’evoluzione che ha caratterizzato la nostra specie e l’interazione che essa ha avuto con l’ambiente esterno; programmazioni assorbite durante il corso del concepimento.
  • Programmazioni di carattere sociale, culturale e antropologico (mentali e spirituali) assorbite nel corso dell’esistenza nel contesto esistenziale nel quale l’individuo si è sviluppato ed è cresciuto (famiglia, istituzione, ambiente).
  • Programmazioni collettive – parte delle quali assorbite nel medesimo contesto esistenziale – sopravvissute al tempo in quanto funzionali alla sopravvivenza della specie stessa.
  • Fattori esperienziali che, in funzione delle suddette programmazioni, e in particolare di quelle di origine genetica, determinano esiti distinti e peculiari anche in individui appartenenti allo stesso albero genealogico e/o allo stesso contesto socio culturale.

Ora, un approccio che sostenga l’idea che l’uomo possa essere una macchina programmata,naturalmente, come detto, può generare perplessità e, in taluni, una sensazione di sgradevole disagio in quanto fa nascere il legittimo dubbio che, in questo modo, si riducano notevolmente i margini di libertà individuale e, conseguentemente, che i risultati che una persona può raggiunge nel corso della propria vita siano in qualche modo dipendenti da qualcosa di predestinato e non frutto di capacità personali.

Nel senso comune per programma si intende un piano e/o una pianificazione atta a raggiungere attraverso determinati passaggi – per l’appunto pianificati e programmati – uno specifico obiettivo. Se dal piano del senso comune si passa a quello informatico, il concetto di programma diventa ancora più peculiare: attraverso l’ausilio di linguaggi di programmazione, il programma si sviluppa in una serie di istruzioni logicamente e sequenzialmente redatte in modo da far svolgere ad una macchina una specifica azione e/o una specifica procedura. In entrambi i casi, l’accezione linguistica porta quindi a concludere che un programma presenta la seguente caratterizzazione: per raggiungere un obiettivo è d’obbligo procedere nella definizione di un ordine sequenziale di eventi atti al raggiungimento di uno scopo, ovvero operare quella che comunemente viene dettaprogrammazione.

Il concetto di programma, così definito, sembrerebbe in prima approssimazione una delle conquiste dell’intelletto dell’uomo moderno quale logica conseguenza del suo endemico bisogno di evolvere, risolvere e/o facilitare la propria esistenza. Eppure, se si analizza l’evoluzione delle specie viventi e delle creature che compongono il creato, si scopre che il concetto di programma e di programmazione non solo è remoto e primordiale, ma costituisce il vero e proprio algoritmo evolutivo grazie al quale la Vita ha continuato ad esistere nonostante i cambiamenti epocali avvenuti nel corso dei millenni, e l’individuo di oggi presenta caratteristiche e peculiarità anatomiche, fisiologiche e psicologiche che lo distinguono dalle altre specie e, nell’ambito della propria, lo identificano come unico tra unici.

Qualsiasi organismo vivente del creato è, infatti, una macchina programmatica in quanto fin dal suo concepimento guidata dal codice genetico impresso nel DNA. Un programma che per perseguire il suo scopo, la sopravvivenza, si è programmato e strutturato in modo tale da essere capace di provvedere ad una auto replicazione – tale da mantenere la propria informazione genotipica, in ogni fenotipo, di generazione in generazione – e, contestualmente, di garantirsi una malleabilità creativa che gli permettesse con flessibilità di modificarsi, adattandosi ai cambiamenti epocali.

Il codice genetico è in questo senso il primo, e ancora oggi immortale, programma che è stato capace di operare, attraverso i millenni, creando organismi dalla complessità crescente; trasformando le primordiali molecole prebiotiche, nelle primitive struttureanatomo-fisio-psicologiche dei nostri primati non umani – i nostri cugini più prossimi dal punto di vista filogenetico [2]- e successivamente, con l’avvento e lo sviluppo del cosiddetto cervello pesante – la neocorteccia –, queste ultime nella struttura anatomica fisiologica e psicologica che caratterizza l’essere umano. In altre parole, la nostra struttura psico-fisica è tale in quanto frutto di una programmazione – quella genetica – che si è nel tempo strutturata in modo da assicurarsi la sopravvivenza e, nel farlo, ha determinato la conformazione esteriore – ed interiore – che ci rappresenta e con cui oggi ci esprimiamo dal punto di vista fenomenologico. Ciò che sentiamo, le emozioni che proviamo e il modo con cui a esse istintivamente reagiamo, sono prima di tutto impresse nel nostro codice genetico. Ogni individuo, alla nascita, eredita una programmazione bioenergetica che regola l’interfaccia tra processi fisiologici e mentali le cui radici sono biologiche, e anticamente iscritte nella struttura del cervello limbico; lì dove risiede il complesso sistema ipofisi-ipotalamo che regola i processi neuronali e sinaptici cui conseguono tutti i sommovimenti emotivi che ci caratterizzano come esseri umani e dove si radicano le esperienze emotive successivamente registrate nella memoria a lungo termine[3].

Come ci ricorda Joseph LeDoux – uno dei più importanti studiosi di neurobiologia e insegnante al New York University’s Center for Neural Sciences – nel suo Il Sé Sinaptico [4]<<Una volta che realizziamo che il disegno di base dei collegamenti celebrali è sotto l’influenza genetica, è facile comprendere come non soltanto gli animali, ma anche le persone possano essere cervelli molto simili, eppure essere così differenti, sin dall’inizio della vita. Le forze genetiche, che agiscono sull’arrangiamento sinaptico del cervello, vincolano, almeno entro certi limiti, il modo in cui ci comportiamo, pensiamo e sentiamo >>

Ora una struttura sinaptica, forgiata da un programma genetico atto al perseguimento di uno scopo quale quello della sopravvivenza, non può in forza della medesima programmazione, non essere predisposta allo sviluppo di analoghe programmazioni strutturate per raggiungere lo stesso scopo. E infatti, se si osserva la storia dell’umanità ed il suo sviluppo in termini evoluzionistici, si può osservare come a comportamenti istintuali d’ordine squisitamente biologico e neurovegetativo – endogeni nello schema di sopravvivenza di tutte le specie – si siano radicati nel tempo – grazie all’avvento delle facoltà neocorticali, dell’apprendimento e del suo esito sinaptico, la memoria – una serie di comportamenti programmatici di ordine relazionale e sociale (creazione della famiglia e della tribù, credenze religiose, caccia, agricoltura etc.) anch’essi finalizzati, attraverso la salvaguardia della comunità (famiglia, prole, istituzione etc.), alla sopravvivenza della specie. Comportamenti e programmazioni che, per effetto della trascrizione delle esperienze emotive nella memoria a lungo termine, hanno dato luogo sia alla caratterizzazione genetica (le “forze genetiche”) che ci accompagna fin dal concepimento sia all’organizzazione culturale, sociale ed antropologica nella quale cresciamo e ci sviluppiamo dopo la nascita [5]. Organizzazione dalla quale riceviamo, fin dai primi anni della nostra vita, programmazioni di ordine mentale e spirituale. In particolare, le dimensioni privilegiate nelle quali sono operate queste ultime sono generalmente la famiglia e l’istituzione scolastica. Durante l’infanzia fino all’adolescenza, il bambino prima ed il fanciullo e l’adolescente poi, impara “le regole”, struttura sotto l’azione del sistema cognitivo il proprio pensiero organizzato. Giorno dopo giorno assimila gli insegnamenti provenienti dalla propria famiglia, dalla scuola e dall’ambiente socio-culturale ed antropologico – tessuto, quest’ultimo, spesso dal quale si ereditano le programmazioni collettive sopravvissute al tempo – nel quale vive. Attinge contenuti informativi e, in linea con la naturale e geneticamente programmata necessità di adattarsi al contesto in cui vive, assorbe e rielabora, sulla base della sua esperienza, strategie che gli consentono di evolvere, di affrontare i problemi di ogni giorno e di trasformare, grazie alle suddette programmazioni, gran parte degli indirizzi genetici indotti al concepimento. In altre parole, sebbene a livello genetico vi sia una forma di predestinazione di carattere biologico, grazie all’intervento del “contesto esistenziale” nulla è a priori deterministicamente iscritto nel futuro dell’individuo. Su tale predestinazione si inserisce infatti, con tutta la sua forza programmatica, l’ambiente nel quale l’individuo si confronta. Un ambiente che, con le sue programmazioni, può radicalmente trasformare l’esito della sua esistenza introducendo fattori correttivi – e/o distruttivi – la cui risultante si traduce nell’essere bioenergetico, mentale e spirituale quale esso si presenta in età adulta. Come ci ricorda il Professor Edoardo Boncinelli – Direttore della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste – nel suo I nostri geni [6] <<Tutti nasciamo condizionati dai nostri geni. Qualcuno subisce da parte del patrimonio genetico un condizionamento, capace di condurlo a una esistenza difficile. La maggior parte di noi riceve solo dei piccoli orientamenti in una direzione piuttosto che in un’altra. Se fossimo animali non avremmo riparo contro questa sorta di predestinazione, sia che essa applichi una condanna a una vita di patimenti sia che riguardi semplicemente una certa dose di variabilità. Come esseri umani abbiamo sviluppato una cultura e una vita sociale che ci permettono di venire a patti entro certi limiti con la nostra predestinazione genetica, fino al punto di neutralizzarla nella sua quasi totalità>>. La nostra psiche – l’“Io” o “Sé personale”, l’insieme di connessioni che, in termini olistici, rende coesi tutti gli aspetti biologici, emotivi e mentali di ciascuno – se da un lato è frutto della ricombinazione cromosomica dei geni genitoriali dall’altro si inserisce, fin dalla nascita, in un contesto ambientale nel quale acquisisce, in funzione del favore o dello sfavore affettivo concesso dal suo entourage, gli strumenti programmatici necessari per adattarsi alle condizioni mutevoli della sua esistenza.

A questo punto del discorso nasce però spontaneo un dubbio: una macchina programmatica, quale l’uomo si presenta, già a livello genetico, grazie a Madre Natura, strutturata secondo un modello evolutivo orientato all’adattamento ed alla sopravvivenza, come può nel corso della sua esistenza incorrere in situazioni di tensione tali da far nascere sentimenti di sconforto e di disagio?

Nella logica evoluzionistica – anzi neuro evolutiva – ma su di una scala temporale a misura generazionale, la psiche si confronta con gli anni che passano e con contesti sociali mutevoli. L’individuo incrocia altri modelli esistenziali, altre programmazioni. Alcune delle scelte del passato generano inaspettate situazioni del presente e così può accadere che, per effetto di periodi particolarmente critici, a volte prodotti da eventi di natura traumatica (lutto, separazione, perdita del lavoro, diagnosi grave, …) altre volte da stadi evolutivi complessi (adolescenza, menopausa, pensionamento, etc.), esso intuisce che alcune delle sue strategie comportamentali in forza delle programmazioni in lui operanti, non solo non sono più pertinenti alle esigenze del qui e ora, ma potrebbero richiedere una rivisitazione dei modelli programmatici assorbiti nel corso della sua storia. E’ per l’appunto questo il momento in cui un individuo può entrare in crisi, l’istante in cui l’iniziale fastidio, quel “non so che” che lo rende irrequieto, si trasforma in disagio e la tensione diventare tale da richiedere un supporto esterno.

Che il disagio e il suo possibile esito, la crisi, siano momenti esistenziali sgradevoli è fuori discussione; tuttavia, ciò che ci accade se osservato dalla giusta prospettiva, ed in particolare da quella evoluzionistica, può essere trasformato in una opportunità unica. Ciò che è programmato, in virtù della malleabilità intrinseca al concetto stesso di programma, può essere, infatti, riprogrammato o comunque riposizionato. La malleabilità strutturale della programmazione modulata dalla componente esperienziale peculiare della storia e delle vicissitudini dell’individuo, offre infatti lo spazio e le chanceper il superamento del disagio e, se correttamente guidata, apre a prospettive esistenziali nuove ed inattese. In altre parole, la malleabilità è qualcosa di endemico e insito nel concetto stesso di «programma», come endemica è anche la contrapposizione di tra programmi – alla base del disagio – che, nella logica operativa con cui opera l’algoritmo evolutivo, è la strategia con la quale il sistema – l’identità dell’Io/Sé, la Vita – nel suo complesso cerca di assicurarsi la sopravvivenza: l’«elemento critico» che deriva dalla «rottura di continuità» propria di una crisi, se da un lato si presenta come un fattore di fragilità e instabilità dall’altro è un vantaggio strategico perché esalta la possibilità di cambiamento.

E’ per questa ragione che l’azione che il Counselor nel setting Relazionale Neuroevolutivo, ha come obiettivo quello di affrontare un viaggio insieme al Cliente allo scopo di far scoprire a quest’ultimo fatti e correlazioni tra fatti che intimamente gli appartengono, individuare quelle abitudini che possono essere alla base del suo malessere e aiutarlo ad avviare un processo di rinnovamento e mutazione che faccia leva su nuove spinte emotive, conseguenza delle sue capacità sinaptiche in divenire.

Un processo che nel processo non fa altro che sfruttare una delle capacità strutturali proprie del cervello pensante ovvero sia la progettazione.

Il cervello umano è una macchina biologica, adatta a fornire la base all’attività mentale del progettare [7]. La nozione di progetto – per sua stessa definizione – suggerisce un’attività nella quale un individuo è in grado di elaborare mentalmente qualcosa che ancora non esiste nella realtà; qualcosa che può essere modificato in modo da assicurare per tempo decisioni vantaggiose. Nella progettazione, la mente è in grado di immaginare ciò che succederebbe se scegliesse una delle azioni alternative possibili e quindi, conservativamente, decidere quale di esse appare la più opportuna. In questo senso, il progetto, e l’atto di progettare, si distinguono da quello di programmare: programmare indica infatti una azione per risolvere un problema in atto e quindi, come tale, interviene sull’esistente; progettare significa invece elaborare una idea che di fatto rimane ancora nell’ambito del possibile mentale. Ma la programmazione per sua definizione non può prescindere dal progettare. L’atto di progettare, proprio in forza della sua capacità elaborativa, è un atto creativo; un atto nel quale la mente acquisisce e crea nuove connessioni (sinaptiche) e, nel farlo, genera spazi liberi dove fantastica soluzioni futuribili; contestualizza le stesse nel proprio teatro interiore valutandone i possibili risvolti; immagina azioni inesistenti e tenta di prevederne difficoltà ed esiti. Tale creatività e l’esito che ne deriva, trasformano le condizioni interiori e, tale modificazione, consente al progetto di aprire alla realtà. La mente dopo aver valutato e ponderato tutte le possibili opzioni, sceglie quella che ritiene più opportuna offrendosi così al cambiamento e a una reale possibilità di rinnovamento: se è vero, infatti, che un programma è tale in quanto funzionale al raggiungimento di un obiettivo che si colloca nel qui ed ora, esso non può non misurarsi con le condizioni interiori in essere nell’individuo; se queste cambiano vengono allora poste le basi concrete a un possibile efficace cambiamento programmatico.

«Il progetto consente di elaborare (creare) una strategia atta al raggiungimento di obiettivi concreti e questo è un compito che coinvolge, necessariamente, tutto l’apparato sinaptico. Un movimento che, interessando molteplici comparti cerebrali, non determina solo una trasformazione in una specifica dimensione esistenziale del cliente ma coinvolge anche altre aree»[8]

E’ proprio in tale processo evolutivo che il Counseling relazionale NeuroEvolutivo opera il suo intervento di supporto. Attraverso una tecnica che si articolata su tre macro tappe  – Prepararsi al Cambiamento, Progettare il Cambiamento, Realizzare il Cambiamento  – il Counselor accompagna il cliente in un itinerario personale nel quale il cliente stesso scopre la ricchezza delle sue risorse, ne comprende dal punto di vista programmatico l’odierno utilizzo e, sfruttandone le caratteristiche da una nuova prospettiva, apre le porte ad un progetto di rinnovamento. Un progetto dal quale sono partorite nuove idee, nuove emozioni, nuovi circuiti sinaptici e, come conseguenza, chances per nuove modalità comportamentali in grado di essere la soluzione strategica al suo momentaneo disagio. Azione, quest’ultima, che quando avviata si traduce in un processo evolutivo – per definizione migliorativo – in grado di trasformare l’approccio assunto anche nelle altre dimensioni esistenziali nelle quali esso vive.

[1] Il significato della parola Counseling lo ereditiamo del verbo inglese “to counsel” la cui origine latina è quella del verbo “consulo-ere” che significa “sollevare insieme”, essendo composto dalla primitiva “cum” che significa “con”, “insieme” e dal verbo “solĕre” che significa “alzare”, “sollevare”.

[2] Daniel Goleman, Intelligenza Emotiva – Biblioteca Universale Rizzoli; ISBN 88-1711299-2.

[3] Mario Papadia, La riprogrammazione esistenziale – Armando Editore; ISBN 88-8358-236-5.

[4] Joseph LeDoux, Il Sé Sinaptico – Scienze e idee;ISBN 88-7078-795-8.

[5] Onelli Alessandro, Il Sentiero Evolutivo della nostra mente” Armando Editore; ISBN 978-886677-379-5

[6] Edoardo Boncinelli, I nostri geni – Einaudi; ISBN 88-06-13735-2.

[7] Mario Papadia, La riprogrammazione esistenziale – Armando Editore; ISBN 88-8358-236-5.

[8] Onelli Alessandro, “Il Sentiero Evolutivo della nostra mente” Armando Editore; ISBN 978-886677-379-5

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