Counselling – la “materia oscura” di uno scontro tutto italiano dai contorni più politici che professionali

Recentemente ho avuto modo di leggere, in rete e sulla rivista Quotidiano Sanità, numerosi articoli sul tema “Counseling”. Sebbene essi fossero redatti o riportassero affermazioni di professionisti con altisonanti titoli del mondo della psicologia italiana, mi sono reso conto di quanto sia scarsa in Italia la conoscenza di cosa sia realmente il Counseling, di cosa faccia un Counselor e di come esso si distingua radicalmente da altre professioni che, a vario titolo, vertono anch’esse nell’ambito della relazione di aiuto. Molta confusione probabilmente nasce dal fatto che molti di coloro che si approcciano per la prima volta a questo tema ricorrono spesso a Google, un fonte dove trovano informazioni, localizzate, spesso – duole ammetterlo – fasulle o manipolate da chi teme il Counseling. Una cattiva informazione, si sa, non solo non fa chiarezza sul tema in oggetto, ma può ledere gli interessi di coloro che vogliono onestamente interessarsi all’argomento e, cosa ben peggiore, di coloro che sono alla ricerca di un intervento diverso da quello psicologico che forse potrebbe non essere pertinente per la propria situazione. Nel sincero interesse etico e deontologico di fare chiarezza su questa professione e su cosa i miei colleghi ed io facciamo, anche in sinergia con colleghi che operano in ambito internazionale, mi sono deciso a scrivere questo articolo.

Molte delle informazioni che riporto non si trovano in rete, ma su testi specializzati e stranieri (in fondo ne cito alcuni); gli stessi testi su cui ho studiato e che indico generalmente ai miei studenti come fonti bibliografiche cui fare riferimento per approfondire le mie lezioni. Io sono un tecnico, non un politico e quindi quando svolgo il mio lavoro come professionista o come docente, sia in Università sia in Scuole di Counseling, mi limito a raccontare la storia e le definizioni per quelle che sono. Spero di cuore che quanto segue aiuti a dipanare ambiguità, contribuire a correggere inesattezze e riposizionare nella giusta prospettiva l’annoso dibattito che c’è con l’Ordine degli Psicologi e con coloro che, a vario titolo, si pronunciano in merito al Counseling pur non conoscendolo molto. Per farlo, devo necessariamente ricorrere a raccontare la storia del suo sviluppo. So che il rischio è quello di appesantire l’articolo, ma non conosco altro modo se non quello di raccontare i fatti e gli eventi così come sono avvenuti, per poi tentare di riposizionare e correggere, alla luce degli stessi, le innumerevoli affermazioni inesatte che continuano ad essere divulgate in rete.

Come per molte altre professioni anche quella del Counseling è una storia professionale articolata, complessa, non sempre logica e lineare; una storia in questo caso fortemente condizionata dagli eventi politici e socioculturali del contesto nel quale si è sviluppato: gli Stati Uniti. Il counseling nasce infatti nel Nord America nei primi del ‘900 – esattamente nel 1908 – ad opera di tre pionieri (Jesse B. Davis, Frank Parsons, Clifford Beers) che utilizzarono per la prima volta l’espressione “Counseling” (Counselling nell’inglese britannico) cercando di spiegare l’attività di supporto che svolgevano a favore di persone con problemi sociali e nell’ambito del lavoro, della vocazione e dello sviluppo professionale.

Una professione, quella del Counselor, che muove quindi i suoi primissimi primi passi dalla convergenza di due tipologie di supporto: il Vocational Counseling (1909 – Frank Parsons), le cui attività di supporto erano indirizzate all’orientamento professionale per aiutare le persone ad integrarsi nel mondo del lavoro e il Guidance Counseling (1913 – Jesse. B. Davis), le cui attività erano primariamente indirizzate agli studenti delle scuole nell’ambito educativo e professionale. Due orientamenti che affondano le proprie radici nella pedagogia (e non nella psicologia) e nell’applicazione delle sue metodiche. Fin dai suoi albori, l’elemento pedagogico è sempre stato infatti l’asse portante del Counseling in quanto, come afferma Gianluca Biggio nel suo Il Counseling Organizzativo, “nella pedagogia l’individuo viene visto come un’entità in sviluppo che cerca un approdo per migliorare sé stesso, le proprie relazioni con gli altri e la qualità della propria vita in generale. Questo spirito si trova nell’identità costitutiva del counseling, ovvero nell’aspirazione a valorizzare le risorse sane dell’individuo, piuttosto che trattare le patologie delle persone. (Biggio. 2007). 

Prima del 1900, ancora non si parlava di Counseling ma già iniziano i primi interventi di sostegno per affrontare le grandi turbolenze che l’America stava affrontando a cavallo del ‘800 e del ‘900 (Ginter, 2002). All’epoca, la maggior parte dei pionieri si identificano come insegnanti e riformatori/sostenitori sociali tanto che, per molti anni a venire, essere insegnati era considerato un prerequisito per svolgere attività di supporto come quelle del guidance counseling (Biggio, 2007). Il termine “psicologia”, così come lo conosciamo noi, era stato appena coniato (Wilhelm Wundt, 1890) e ancora non esistevano né gli orientamenti psicoterapeutici né quelli della psicologia moderna ad eccezione della psicanalisi che si stava sviluppando in Europa (il comportamentismo nasce nel 1913, la Gestalt tra gli anni ’20 e ’50 ed il cognitivismo nel 1967).

Fu proprio Frank Parsons che per primo iniziò a concentrare il suo lavoro sulla crescita professionale e sulla prevenzione e nel 1908 fondò il Boston’s Vocational Bureau; il primo passo concreto nell’istituzionalizzazione dell’orientamento professionale. Parsons “immaginava una pratica di orientamento professionale basata sulla razionalità e sulla ragione con il servizio, la preoccupazione per gli altri, la cooperazione e la giustizia sociale tra i suoi valori fondamentali” ed è famoso il suo libro Choosing a Vocation (pubblicato nel 1909 ad un anno dalla sua morte) nel quale sosteneva che “la scelta della vocazione è una questione di come mettere in relazione tre fattori: una conoscenza del lavoro, una conoscenza di sé e un abbinamento dei due attraverso il “ragionamento vero” (Gladding, 2012). In altre parole, Parsons era un convinto sostenitore dell’idea secondo cui, per aiutare i giovani a scegliere la loro vocazione con risultati duraturi, era necessario accompagnarli in un processo di auto-indagine e auto-rivelazione che consentisse loro di fare la “loro” scelta consapevole, piuttosto che decidere per loro a quale professione sarebbe stato più opportuno orientarsi.  Jesse B. Davis fu invece il primo a istituire un programma di orientamento strutturato nelle scuole pubbliche e nel 1907 suggerì addirittura agli insegnanti di dedicare settimanalmente una lezione di orientamento ai loro studenti. Davis credeva infatti, che una guida adeguata avrebbe aiutato a curare i mali della società americana e che l’orientamento scolastico si prestava un eccellente mezzo educativo preventivo per insegnare agli studenti come affrontare efficacemente gli eventi della vita stessa.

Nel decennio successivo (1910 – 1920), il Counseling si consolidò per effetto di tre importanti eventi:

  1. la nascita della National Vocational Guidance Association (NVGA) che radunò insieme tutti coloro che avevano interesse nel Vocational Counseling;
  2. la legge Smith-Hughes, varata nel 1917, che garantì fondi per sostenere l’istruzione professionale;
  3. la Prima guerra mondiale, durante la quale il counseling fu utilizzato per il collocamento di un gran numero di militari (Gladding, 2012).

In quegli stessi anni (1911) furono inoltre istituzionalizzati i primi corsi di Vocational Counseling presso l’Università di Harvard.

Nel decennio successivo (1920-1930), il Counseling iniziò ad essere sempre più presente negli ambiti educativi e nell’orientamento dei veterani di guerra e nel 1920, l’istituzionalizzazione a Boston e New York della prima certificazione ufficiale di Counselor con il conseguente consolidamento dei primi standard formativi, la preparazione e la valutazione dei materiali professionali erogati. A New York (1929) nacque inoltre il primo centro di counseling matrimoniale e familiare che segnò l’inizio del counseling familiare.

La grande depressione degli anni ’30 contribuì poi a rafforzare ulteriormente la professione e, in particolare, la sua azione di orientamento cosicché il Counseling venne sempre più visto come un servizio di pubblica utilità (Gladding, 2012).

Furono questi gli anni (1930-1940) in cui nacque la prima teoria del counseling, formulata da E. G. Williamson e dai suoi colleghi presso l’Università del Minnesota utilizzata per lavorare con studenti e disoccupati; una teoria che enfatizzava le abilità di insegnamento, di mentoring e di influenza del counselor. Un altro forte impulso al Counseling venne da John Brewer che, nel 1932, nel suo libro Education as Guidance propose che ogni insegnante fosse un counselor e che la guida fosse incorporata nel curriculum scolastico, come materia. Brewer riteneva infatti che tutta l’istruzione dovesse concentrarsi sul preparare degli studenti a vivere al di fuori dell’ambiente scolastico. Fu così che nel 1938 il Congresso, con l’obiettivo di essere sempre più coinvolto nell’orientamento e nella consulenza, approvò la Legge George-Dean con cui veniva istituita la Vocational Education Division of the U.S. Office of Education and an Occupational Information and Guidance Service creando, in altre una vera e propria Agenzia per l’impiego nazionale (The U.S. Employment Service).

Il successivo decennio (1940-1950) fu caratterizzato da eventi che, come pietre miliari, scandirono definitivamente lo sviluppo del Counseling prima negli Stati Uniti e, successivamente, nel mondo. Forse il più importante, fu la pubblicazione del famoso libro Counseling and Psychotherapy (1942) di Carl Rogers. Rogers, esponente della nascente corrente di pensiero nota con il nome Psicologia Umanistica, introdusse la terapia centrata sul cliente rivendicando così, nel colloquio tra professionista e cliente, la centralità del cliente stesso. Una posizione nata quale reazione al determinismo, al riduzionismo scientista ed alla semplificazione meccanicistica delle due correnti all’epoca dominati nel mondo della psicologia: il comportamentismo (oramai all’epoca diffusosi tra gli psicologici) e la psicoanalisi. Rogers, ed il suo movimento culturale, fortemente influenzati dalle correnti di pensiero della fenomenologia e dell’esistenzialismo, non fecero altro che promuovere l’idea di individuo libero, responsabile, consapevole e in grado di scegliere. Nel far questo di fatto spostarono il focus del setting dal terapeuta/counselor al paziente/cliente. L’intervento di Carl Rogers ebbe un impatto importantissimo sul futuro della professione e, in particolare, determinò due sostanziali conseguenze:

  • il counseling da quel momento in poi – e per sempre – iniziò a dare enfasi alla qualità della relazione, alla ricerca, al perfezionamento della tecnica, alla selezione ed alla formazione dei futuri counselor e agli obiettivi del setting stesso; una conseguenza che ebbe ripercussioni sia sul counseling sia sulla psicoterapia e che sono anche alla base delle definizioni di Counseling che, ancora oggi, si utilizzano nel mondo;
  • la seconda conseguenza fu che Rogers suo malgrado, accostando il Counseling alla Psicoterapia, inconsapevolmente favorì arbitrarie speculazioni nel mondo della psicologia. Ciò non avvenne tanto negli Stati Uniti, dove la professione del counselor era già all’epoca ben consolidata, distinta e normata rispetto a quella della psicologia, quanto in altri paesi e, soprattutto, qui in Italia dove qualcuno, al fine di delegittimare il Counseling, pensò bene di concedersi “licenze linguistiche” nella traduzione dall’inglese all’italiano dell’opera di Rogers, sostituendo la parola “counselor” con “consulente psicologico” manipolando così il messaggio di Rogers stesso. Quale aneddoto si basti pensare che al progetto del Boston’s Vocational Bureau di Frank Parsons prese parte anche la Young Men’s Christian Association (YMCA) per la quale lo stesso Rogers lavorò nel 1921 (all’età di 19 anni) come capo counselor e responsabile dei servizi di counseling in un campo estivo a Milwaukee (C. Rogers, D. Russel, Carl Rogers, 2006).

Un altro momento importante nella storia dello sviluppo del Counseling, lo si ebbe con la Seconda guerra mondiale. Siamo nel decennio che va dal 1950 al 1960; anni durante i quali sia il counseling lavorativo (Vocational) sia quello scolastico (Guidance) si consolidarono ulteriormente. Il congresso, grazie alla George-Barden Act, concesse fondi per il Vocational Counseling e, nel 1958, con il varo della National Defence Education, stanziò stabilmente fondi per la costituzione di servizi di counseling, per la formazione in counseling e per sviluppare ancora più i servizi di orientamento nelle scuole. Nel 1952 fu fondata la American Personnel and Guidance Association (APGA) con lo scopo di organizzare formalmente gruppi interessati all’orientamento, al counseling e alle questioni relative al personale.

A partire da 1960, si consolida il counseling dello sviluppo (Gilbert Wrenn, The Counselor in a Changing World (1962a)), fa la sua prima apparizione il counseling comportamentale (John Krumboltz, Revolution in Counseling (1966)) e, a causa dell’aumento del tasso di divorzi, si diffonde in tutto il paese il counseling matrimoniale e familiare. In quegli anni, anche gli psicologici intuirono che nel counseling avevano una disciplina che permetteva loro di occuparsi dei bisogni degli individui “normali” e sancire così un confine con la psicologia clinica che si occupava dei disordini e delle patologie comportamentali (Biggio, 2007). Per la prima volta – esattamente nel 1960 dopo “appena” 60 anni dalla nascita del counseling – compare il counseling psicologico – la cui espressione fu utilizzata per la prima volta dalla Veterans Administration (VA) (Gladding, 2012).

Nei decenni successivi (1970-1990), il Counseling non solo acquisì forza ma ci furono svolte nel suo sviluppo che ne sancirono per sempre l’autonomia da altre tipologie di interventi:

  • Per effetto di alcuni importanti eventi storici (guerra del Vietnam, movimento per i diritti civili e movimento delle donne), il counseling appare sempre più lo strumento più idoneo per gestire bisogni speciali creati da eventi speciali e proprio in quegli anni entra dentro i centri di salute mentale cosicché sempre più counselor iniziano ad operare al di fuori dei contesti educativi e di orientamento professionale, con attività di counseling contro l’abuso di droghe ed a supporto della riabilitazione.
  • Accanto al Vocational Counselinge al Guidance Counseling ne nacquero di altri che richiesero formazioni specialistiche: nacque il counseling multiculturale e quello comunitario e, sempre più counselor, iniziarono a lavorare stabilmente in cliniche per la salute mentale, ospizi, programmi di assistenza ai dipendenti, ospedali psichiatrici, centri di riabilitazione e centri di abuso di sostanze. Nel 1973, l’Association of Counselor Educators and Supervisors (ACES) – una divisione dell’APGA – delineò gli standard per un master in counseling e, nel 1977, approvò le linee guida per la preparazione del dottorato in counseling.
  • Nel 1981, nacque il Council for the Accreditation of Counseling and Related Educational Programs(CACREP) che perfezionò i lavori dell’ACES creando master e programmi di dottorato nei settori della scuola, della comunità, della salute mentale e della counseling matrimoniale (Gladding, 2012).
  • Parallelamente al lavoro del CACREP, il National Board for Certified Counselors (NBCC) – il Consiglio Nazionale per Counselor Certificati – nato nel 1982, stabilì che il Counseling era una professione distinta da altre e iniziò così a certificare counselor a livello nazionale dopo aver sviluppato test standardizzati nei quali potevano essere distinte otto aree tematiche principali: (a) crescita e sviluppo umano, (b) fondamenti sociali e culturali, (c) relazioni di aiuto, (d) gruppi, (e) sviluppo dello stile di vita e della carriera, (f) valutazione, (g) ricerca e valutazione, e (h) orientamento professionale. Alla fine degli anni ‘80, c’erano circa 17.000 professionisti NCC che si aggiungevano ai 40.000 già affiliati all’APGA (Gladding, 2012).

Nel 1984, dopo un considerevole dibattito, l’APGA decise di cambiare nome in American Association for Counseling and Development (AACD) per “riflettere i cambiamenti demografici dei suoi membri e le condizioni in cui lavoravano” (Gladding, 2012). Il cambio di denominazione simboleggiava la rapida trasformazione dell’identità che i membri dell’APGA avevano sperimentato attraverso l’implementazione di politiche in materia di formazione, certificazione e standard.

Nel 1991, l’American Psychology Association (APA), l’organizzazione scientifica e professionale nata nel 1892 che radunava gli psicologi negli Stati Uniti, propose di possedere un master degree in psicologia per accedere all’associazione stessa. Ne nacque un profondo dissidio tra counselor con background formativo psicologico e counselor con retroterra formativo in Education e ciò spinse l’AACD a cambiare  nuovamente nome e diventare nel 1992 l’American Counseling Association (ACA). Un nome che, definitamente, sanciva la differenza tra il Counselling ed altre professioni – ivi comprese quello dello psicologo – e definiva meglio l’appartenenza e la missione dell’organizzazione stessa. In quello stesso anno (1992) il counseling venne inoltre incluso per la prima volta nelle statistiche sulle risorse umane del settore sanitario compilate dal Centro per i servizi di salute mentale e l’Istituto nazionale di salute mentale; un riconoscimento che mise il counseling al pari di altre specialità di salute mentale come la psicologia, il lavoro sociale e la psichiatria.

A partire dal 1990il counseling iniziò a diffondersi in tutto il mondo – si stima che all’inizio del XXI° secolo in America ci fossero circa 100.000 counselor e, soprattutto nei paesi anglosassoni e anglofoni, la sua diffusione vide il Counseling come una professione a sé stante, con programmi formativi universitari standardizzati e distinti da quelli di altre professioni. Oggi, nel mondo è possibile trovare, accanto al Vocational Counseling ed al Guidance Counseling, il Pastoral Counseling, il Community Counselling, il Workplace Counseling, il Counseling in Organization, l’Health Care Counseling, il Multicultural Counseling, il Career Counseling, l’Outplacement Counseling, il Business Counseling e tanti altri che declinano la pratica del Counseling in funzione del contesto nel quale operano.

Si è diffuso in tutto il mondo (circa 500-600 mila counsellor professionisti operano ad oggi nel mondo) e nell’ultima conferenza dell’International Association for Counselling svoltasi qui a Roma a settembre 2018, erano presenti ben 25 paesi: Stati Uniti, Malta, Israele, Turchia, Giappone, Nuova Zelanda, Canada, Ghana, Cina, India, Irlanda, Uruguay, Olanda, Australia, Malaysia, Nigeria, Gran Bretagna, Argentina, Svizzera, Tanzania, Pakistan, Belgio, Spagna, Kenya, Italia.

Alla luce di quanto raccontato, possiamo trarre molteplici riflessioni, di seguito alcune delle mie:

Prima riflessione. A dispetto di alcune affermazioni che alcuni esponenti appartenenti all’Ordine degli Psicologi fanno pubblicamente sui social – dimostrando per altro, duole dirlo, di non conoscere neanche la storia della loro professione – il counseling esiste ed è anche più antico della maggior parte delle correnti della psicologia contemporanea – eccezion fatta della psicanalisi Freudiana – e di certo non può essere ricondotto ad una semplice “competenza” come qualcuno di loro continua ad affermare. Inoltre, nell’ultimo convegno degli psicologi sembra qualcuno abbia affermato che i Counselor imitano gli psicologi più preparati. Non ero presente a quel convegno, ma se veramente hanno affermato questo, credo che le loro affermazioni tradiscono la triste costatazione che non solo non conoscono bene la storia della loro professione ma ignorano – o forse fanno finta di ignorare – che il counseling psicologico è nato quale alternativa alla psicologia clinica solo nel 1960 e nel farlo eredita proprio le metodiche pedagogiche di una professione già presente da ben 60 anni prima sul territorio. Nel mondo, il counseling è una professione affermata da più di un secolo, riconosciuta e, in più parti del mondo, si è consolidata prima di altre professioni ivi compresa la psicologia. Si occupa di benessere, prevenzione, sviluppo e difficoltà situazionali e nel farlo, come si evince dalla storia del suo sviluppo, ha la peculiarità di essere interdisciplinare interconnettendo molteplici discipline tra cui la pedagogia, la sociologia, la psicologia, le neuroscienze, la fisica, l’antropologia, l’etica, il diritto e tantissime altre che sarebbe noioso elencare. Nel 2010, ben 29 associazioni di counseling tra cui l’American Counseling Association, l’American Association of State Counselling Boards (AASCB), il Council for the Accreditation of Counseling and Related Educational Programs (CACREP), il National Board for Certified Counselors (NBCC), il Council of Rehabilitation Education (CORE), la Commission of Rehabilitation Counselor Certification (CRCC) e la Chi Sigma Iota – società accademica e professionale che vanta in tutto il mondo la bellezza di 20.000 associati e che promuove l’eccellenza nel counseling – hanno accettato una definizione di counseling nella quale tutti si riconoscono (Gladding, 2012): “Il counseling è una relazione professionale che consente a individui, famiglie e gruppi diversi di raggiungere obiettivi di salute mentale, benessere, istruzione e carriera” (counseling.org/20-20/index.aspx).

Una definizione che contiene una serie di punti impliciti ed espliciti importanti sia per i counselor sia per i loro clienti:

  • Il counseling riguarda il benessere, la crescita personale, la carriera, l’educazione e le preoccupazioni di empowerment. In altre parole, i counselor lavorano in aree che coinvolgono una pletora di problemi, inclusi quelli che sono personali e quelli che sono interpersonali. Queste aree comprendono le preoccupazioni relative alla ricerca di significato, adattamento e realizzazione nella salute mentale e fisica e il raggiungimento degli obiettivi in ​​contesti come il lavoro e la scuola. I counselor si occupano di giustizia sociale e difendono gli oppressi e gli impotenti come parte del processo.
  • Il counseling è condotto con persone; individualmente, in gruppo e in famiglia. I clienti visti dai counselor vivono e lavorano in un’ampia varietà di contesti. I loro problemi possono richiedere interventi a breve – raramente a lungo termine – incentrati su una sola persona o su più individui legati da vincoli parentali o non correlati affatto.
  • Il counseling è vario e multiculturale. I counselor vedono clienti con background culturali diversi. Quelli provenienti da culture minoritarie e maggioritarie sono aiutati in vari modi a seconda delle loro esigenze, che possono includere l’affrontare questioni sociali più ampie, come la discriminazione o il pregiudizio.
  • Il counseling è un processo dinamico. I counselor non si concentrano solo sugli obiettivi dei loro clienti, ma aiutano i clienti a realizzarli. Questo processo dinamico passa attraverso l’utilizzo di una varietà di teorie e metodi. Quindi, l’attività di counseling implica scelte e cambiamenti. Nella maggior parte dei casi, “il counseling è una prova generale per l’azione” sia internamente con pensieri e sentimenti o esternamente con il comportamento.

Come ho avuto modo di scrivere recente commentando un articolo pubblicato sul Quotidiano Sanità (Il counselling non può essere un monopolio dei Counselor), il counseling si concentra in ultima analisi sulla vita delle persone. Nei colloqui di counseling, i clienti parlano della loro vita, delle cose che accadono tutti i giorni e di come queste possono o non possono condizionare le loro prestazioni o la loro esistenza, renderli felici o infelici. Di come la vita, ed i suoi imprevisti, entrano dentro le loro esistenze e ne influenzano il benessere. Si ragiona insieme, su come possono superare gli ostacoli ordinari che la vita propone ed andare a meta. Il Counselor non fa altro – in accordo con la sua secolare esperienza – che lavorare con i suoi clienti e, condividendo le proprie competenze, li accompagna su di un tragitto in cui loro autonomamente scelgono la loro strada. Non è un caso che, come abbiamo avuto modo di vedere nella storia del suo sviluppo, non nasce dalla psicologia ma dalla pedagogia dei primi anni del 900 e risente di moltissime influenze tra cui quelle dell’esistenzialismo secondo cui ciascuno di noi ha la capacità di scegliere consapevolmente il proprio destino, ce l’ha nelle sue mani e deve essere responsabile delle conseguenze delle sue azioni. Ciò implica che, in qualità di Counselor, la nostra missione è quella di lavorare con le risorse sane dei nostri clienti, valorizzandole; consci che per tutto il resto ci sono altre professioni che possono intervenire. Nel su citato articolo ho letto anche che la parola Counseling è stata tradotta con leggerezza con la parola “Consulenza”. Bene, il Counseling NON È CONSULENZA ma altro. Limitarsi a Google Translator per definire la parola Counseling credo, a cospetto della sua storia, sia un insulto al concetto stesso di “professione” e di “professionalità” e chi ci ricorre non fa una bellissima figura. Quanto raccontato e l’etimo stesso della parola Counseling va molto al di là di quanto ingenuamente e semplicisticamente qualcuno in Italia vuole far credere sia il Counseling. Il Counseling nasce in un contesto anglosassone? e allora credo sia importante restare al significato etimologico delle parole anglosassoni e non a delle posticce traduzioni. La parola Counseling la ereditiamo del verbo inglese «to counsel» la cui origine latina è quella del verbo «consulo-ere» che significa «sollevare insieme», essendo composto dalla primitiva «cum» che significa «con», «insieme» e dal verbo «solĕre» che significa «alzare», «sollevare». Quindi, affermare che chi fa counseling fa consulenza è semplicemente affermare che il Counselor opera in antitesi con il significato stesso della sua professione. E questo vale, o dovrebbe valere, per chiunque dice di fare counseling, anche quello psicologico. Come ho avuto modo di scrivere nei commenti a quell’articolo, insegno Counseling sia all’Università sia nelle Scuole Italiane di Counseling e una delle prime lezioni la dedico proprio a chiarire l’abisso che esiste tra un Counselor ed altre professioni tra cui quella del Consulente e tra Counseling e altri mestieri tra cui quello della Consulenza. Come scrivevo, un consulente è un esperto di una certa materia e ascoltate le esigenze del suo cliente elabora il suo parere che può essere una dotta informativa (l’avvocato), un bilancio (commercialista) o una soluzione (come ad esempio facevo in Microsoft dove ho lavorato per 16 anni; ero un esperto di System Management e di Infrastrutture e come consulente non facevo altro che disegnare la soluzione tecnologica che meglio sposava le necessità del mio cliente). Oggi, come consulente organizzativo, mi capita talvolta di fare da trainer a Manager (insegnandogli a fare i Manager), di affiancarli nel loro lavoro (facendo del mentoring e dicendogli cosa devono e non devono fare) oppure, se sono degli imprenditori, disegnandogli processi e organigrammi. Li aiuto con la mia competenza a mettere in pista un sistema di performance management, piani di improvement o a trasformare la vendita in un atto di business consapevole. Insomma, sulla base della mia competenza creo, elaboro – talvolta da solo, talvolta con loro – soluzioni puntuali al problema/quesito per il quale sono stato ingaggiato. In ultima analisi utilizzo quelle che in bibliografia sono chiamate “competenze hard”. Il Counselor tutto questo semplicemente NON LO FA. Il counselor non crea soluzioni per il suo cliente, non risolve al suo posto i suoi problemi ma lo accompagna nel tragitto attraverso cui Lui elabora la soluzione al suo problema. Quando faccio counseling sono solito affermare che “il mio compito è aiutarlo a diventare la persona che vuole essere, non stabilire che tipo di persona debba essere”. In tutti questi casi, non uso le mie competenze “hard” ma quelle “soft” che ho proprio perché ho fatto un corso di counseling e mi sono allenato ad utilizzarle con ore di tirocinio. Sempre in rete, leggo spesso accuse di “abuso professione” da parte dei Counselor che sconfinano nella psicologia. Non escludo che del marcio ci sia anche tra i miei colleghi – mi chiedo quale categoria professionale non ne abbia  – ma parlando di me, posso solo affermare che lavoro nelle Aziende come counselor e, talvolta, come coach e ho perfettamente chiari quali siano i confini professionali della mia azione. Le aziende nascono per fare profitti assicurando che coloro che ci stanno dentro lavorino in un clima motivato e buono per fare business e gli interessi della comunità a cui appartengono e la mia esperienza mi racconta che c’è veramente poco spazio per derive “psicologistiche”. Come ho avuto modo di scrivere anche pubblicamente, io personalmente detesto poi qualsiasi approccio tenda a “psicologizzare” ogni cosa, trattando l’interlocutore come un “problematico” o, peggio, un malato. Personalmente detesto lo psicologismo e NON ne approvo minimamente l’approccio. Psicologizzare ogni cosa (analizzare o interpretare un fatto, un problema, un avvenimento dal punto di vista psicologico), come ho visto fare da psicologi – o da psicologi “specializzati in psicoterapia” – lo considero un vero insulto all’intelligenza del mio interlocutore, nonché un’azione fastidiosamente “direttiva”; un’imporre se stessi, la propria lettura della realtà e le relative interpretazioni – spesso contaminate dalla propria storia – come, per l’appunto, farebbe un consulente e non un counselor. Tutte cose sperimentate personalmente in ben due psicoterapie (inutili!) ed una psicoanalisi (utile!). Se c’è una cosa su cui bombardiamo i nostri discenti, sono proprio le differenze che esistono tra un Counselor ed altre professioni come quella dello psicologo e quella dello psicoterapeuta. Come scrivevo già nel 2013 nel Il sentiero evolutivo della nostra mente. Multidisciplinarietà e multiculturalità nella relazione di aiuto, criticando tra le righe i miei colleghi, è che molti di loro, quando spiegano cosa sia il Counseling, generalmente partano con la sua definizione ma poi “invece di preoccuparsi di spiegare il perché di questa definizione, cosa c’è dietro ad essa e quali sono i prerequisiti che giustificano il counseling, quasi sempre hanno subito fretta di esporre cosa “non è il counseling” ed in particolare ciò che lo differenzia dalla psicoterapia, dalla psicanalisi, dalla psicologia. In altri termini leggendo queste definizioni ho sempre la sensazione che il counseling sia spesso descritto dicendo cosa non è piuttosto di cosa è, forse per paura di critiche e attacchi che ultimamente sembra sia di moda fare. (Onelli, 2013). Personalmente, ho sempre interpretato la professione di Counselor come “una figura professionale che si colloca in un crocevia professionale. Una figura cui è affidato il delicatissimo compito di leggere e capire il disagio della persona, e stabilire se esso possa essere risolto nell’ambito del setting, oppure richieda l’intervento di altre figure professionali. In buona sostanza, leggere la realtà del cliente e del contesto e stabilire, sulla base di questa lettura, l’indirizzo più consono alla situazione. In altre parole, egli ha il dovere di adoperarsi per offrire al cliente tutti gli strumenti necessari per aiutarlo a superare la sua impasse esistenziale, ivi compresa la comprensione di quale sia la strategia che nelle specifiche circostanze è, tra quelle possibili, la migliore per il cliente. Il tutto può risolversi nella sola relazione con il counselor, e quindi all’interno del setting, oppure richiedere l’intervento di figure professionali (psicoterapeuti, medici, commercialisti, avvocati, etc.) che dispongono, per quella specifica circostanza, degli strumenti più idonei per sostenere il cliente. In questo senso, la figura del counselor non è solo a supporto della persona ma anche dell’eventuale ecosistema di professionisti che operano nell’ambito della relazione di aiuto. Può ad esempio accadere che le circostanze richiedono un supporto legale, in tal caso dovere del Counselor è indirizzare il cliente verso una figura con queste competenze. Può accadere che, nell’ambito della dialettica e del racconto della storia, emergano dettagli che chiaramente fanno intuire un disordine profondo e strutturale del nostro cliente oppure la necessità di un intervento farmacologico o medico che lo sostenga nel periodo particolarmente critico che lo sta investendo, in tal caso dovere del Counselor è indirizzare, nel primo caso il cliente verso uno psicoterapeuta e, nel secondo caso, verso un medico o uno psichiatra.

Seconda riflessione. Una riflessione che potrei anche parafrasare così: “In tutto questo, l’Istituzione dove è?”. È indubbio che le peculiarità e gli eventi che hanno contraddistinto la storia degli Stati Uniti non sono quelle hanno contraddistinto la nostra nazione ma oggi, nel XXI°, la latitanza dell’Istituzione sul tema Counseling, sta facendo sorridere – e talvolta, spiace dirlo, ridere – l’intera comunità internazionale e non solo quella dei Counselor ma anche quella di altre professioni di aiuto, ivi compresi quella degli psicologi. Dal Nord Ovest dell’Italia (Torino) assistiamo a guerre di “religione” contro i Counselor nelle ASL, i social sono zeppi di affermazioni da titolati rappresentanti dell’Ordine che gridano a gran voce che il “Counseling NON esiste!”, che “E’ solo una competenza!” senza neanche conoscere come i loro colleghi all’estero considerano il Counseling. Da quanto si legge, sembra ignorino che in prima linea – lontano quindi dai tavoli di mera politica professionale – sono anni che in Italia i Counselor collaborano in armonia con tantissimi loro colleghi. Costoro non sanno neanche che all’estero se vuoi fare counseling – anche quello psicologico – non basta che sei laureato in psicologia ma devi aver fatto anche un corso di counseling e superato gli esami per essere counselor. Per scoprirlo non serve fare traversate intercontinentali, basta fare un’oretta e mezza di volo e visitare l’Università di Malta dove fai counseling se sei diplomato in counseling ma se non lo sei e sei uno psicologo allora fai lo psicologo e basta. All’estero, tutte le professioni convivono ed il cliente sa chiaramente che se va da uno psicologo incontrerà un professionista che ha fatto un iter formativo per diventare psicologo, se va da un counselor incontra un professionista che ha fatto un corso di counseling che lo ha preparato ad essere Counselor e se va da un counselor che fa anche counseling psicologico allora incontra un professionista che ha due titoli uno in psicologia ed uno in counseling. La domanda resta allora sempre la stessa: “In tutto questo, l’Istituzione dove è?”. La storia del Counseling parla chiaro, negli Stati Uniti addirittura il Congresso è sceso in campo con delle leggi che garantissero la risposta più seria ed efficace ai problemi del paese; non una risposta di comodo ma di efficacia. Mi chiedo, “Come mai l’Ordine degli Psicologi, nonostante i loro codice parli chiaro, ha permesso che per anni molti dei loro associati si arricchissero con corsi di counseling aperti a tutti ed ora che i Counselor sono scelti dal mercato, tratta questi professionisti come fossero dei “delinquenti”?”. Non mi stupirò quando, tra qualche anno, il teatrino si ripeterà anche con i Coach che, naturalmente, oggi si stanno preparando in costose scuole che pullulano di psicologi associati all’Ordine. Come già affermato, io sono un tecnico e non un politico ma osservando dichiarazioni e reportage costruiti ad hoc, ho sempre la sensazione di assistere a giochetti politici ed equilibrismi di forma tra accademici, lobby, caste ed interessi opportunistici e provinciali che dimenticano completamente la vera “cosa pubblica” su cui tutti noi (psicologi, psicoterapeuti, medici, assistenti sociali, counselor, mediatori, …) dovremmo orientare la nostra prestazione: i clienti ed il loro benessere. Quasi 10.000 professionisti in Italia stanno chiedendo da anni all’Istituzione di affrontare con serietà la regolamentazione della professione di Counselor. Da anni chiediamo di discutere sugli standard formativi così da trasformare i nostri diplomi, in titoli di stato. La risposta di comodo, o di paura, è sempre la stessa: voi non esistete. Ci siamo organizzati in Associazioni per auto-regolamentare i nostri percorsi e i nostri standard professionali; lo abbiamo fatto ispirandoci agli esempi internazionali ed intensificando nel tempo i rapporti con altre associazioni del calibro dell’International Association for Counseling e dell’American Association of Counseling. Lo abbiamo fatto per garantire ai nostri clienti l’assicurazione di un servizio all’altezza di standard internazionali – e non solo italiani – e lo abbiamo fatto per proteggerci proprio da coloro che, a causa dell’attuale vuoto legislativo, si definiscono Counselor millantando una professionalità che non hanno. Abbiamo più volte chiesto, su tavoli politici e non, un interessamento ma la risposta è stata sempre la negazione della nostra esistenza. Una risposta che ora sta determinando commenti pesanti da parte della Comunità Internazionale come quelli che recentemente ha fatto il Prof. Dione Mifsud (IV° Presidente dell’International Association for Counselling). Alla domanda di A.N.Co.Re. (una delle Associazioni di Counseling Italiane appartenenti a Federcounseling): “[…] Cosa possiamo rispondere a tutti coloro che negano il counselling come realtà e non riconoscono la figura del professionista che si è formato per il benessere dell’individuo, delle organizzazioni e quindi della società nel suo complesso?” rispondeva così “Sono personalmente offeso da queste affermazioni perché in tutto il mondo ci sono cattedre universitarie, tavole rotonde, giornali scientifici sul counselling. Se qualcuno sostiene che il counselling non esiste allora tutto questo non esiste. E non è vero. Il counselling si è sviluppato durante il secolo scorso e ha un percorso di studi che è ben definito in molti paesi. Nel mondo si calcola che siamo circa 500-600 mila counsellors quindi stiamo parlando di una professione ampia e non di una cerchia ristretta di persone. Cosa possiamo dire a chi continua a negare la nostra realtà? Ovviamente se loro vanno a vedere tutto il nostro percorso di studi e tutto il nostro percorso di ricerca, scopriranno che, oltre ad essere rigoroso, è anche internazionalmente riconosciuto. Ad esempio, il prof. Tim Bond dell’Università di Malta è riconosciuto come un’autorità mondiale nel campo dell’etica nelle professioni di aiuto ed è invitato da molti governi internazionali. È assurda l’affermazione che il counselling non esiste. La nostra associazione internazionale IAC ha una sezione dedicata alle consultazioni con enti delle Nazioni Unite, con l’Unesco, con l’Organizzazione mondiale del lavoro e recentemente con l’Organizzazione mondiale della sanità. Per tutti questi enti e per tutti queste organizzazioni esistiamo” (Intervista a Dione Mifsud IV° presidente dell’International Association for Counselling).

Credo ci sia poco da aggiungere, nel paese in cui tutti pensano di essere i più furbi del mondo, la comunità internazionale, basita, continua a sorridere di noi ed io continuo a chiedermi … “In tutto questo, l’Istituzione dove è?“.

Fonti Bibliografiche:

  • Samuel T. Gladding, “Counseling: A Comprehensive Profession”. The Merrill Counseling Series;
  • Carl R. Rogers, David E. Russell. “Carl Rogers. Un rivoluzionario silenzioso”. La Meridiana;
  • Earl J. Ginter, Journal of Counseling & Development (JCD) and Counseling’s Interwoven Nature: Achieving a More Complete Understanding of the Present Through “Historization” (Musings of an Exiting Editor—An Editorial Postscript);
  • Adrian Coles ” Counselling in the workplace”. Open University Press;
  • Lady Ann Graham-Gilreath “A Brief View of the History of Counseling Profession”. Grand Canyon University;
  • Michael Carroll ” Workplace Counselling”. SAGE Publications;
  • Gianluca Biggio “Counseling Organizzativo”. Raffaello Cortina Editore;
  • Alessandro Onelli, “Il sentiero evolutivo della nostra mente. Multidisciplinarietà e multiculturalità nella relazione di aiuto”. Armando Editore.

Alessandro Onelli

Ottobre 2018

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